La simulazione negli ambiti civile e penale

Nell’ormai tanto celebre quanto sfruttato in spiegazioni su fenomeni percettivi, il Triangolo di Kanitzsa (1955) si mostra in tutte le sue contraddizioni, a partire dal suo nome. Sebbene il titolo dell’opera suggerisca la presenza di un triangolo, questi non esiste nel mondo fisico: viene percepito, ma in realtà non c’è, il triangolo non è reale, è una menzogna. Anzi, è un tentativo di simulare un qualcosa che riporta all’esperienza, ma la concezione che si basa su ”esse est percipi ”, ovvero che le cose esistono solo in quanto sono percepite dall’essere umano, rimanda a conseguenze nefaste nel campo scientifico.

Il triangolo di Kanizsa, illusione ottica descritta per la prima volta dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa

Ogni cosa fa presupporre l’esistenza di un triangolo, già il nome stesso con cui l’autore ha sapientemente insinuato un pregiudizio in noi, ma a un esame poco più attento, le prime sicurezze svaniscono e il tutto si mostra come mero tentativo simulatorio. Così quindi come il “non” Triangolo di Kanitzsa, la pratica clinica (e non) porta i professionisti psicologi a prestare sempre più attenzione a fenomeni che si palesano in un modo ma che si rivelano in tutt’altro, come nel campo giuridico e forense in cui tentativi di simulazione di malattia mentale si possono riscontrare negli ambiti sia civile (medico-legali, consulenze tecniche, ecc.) sia penale (false denunce, simulazione in carcere, ecc.). 

In parallelo alla valutazione dell’imputabilità troviamo la possibilità che una malattia mentale sia simulata o che vi sia un’esagerazione di sintomi così come una dissimulazione negli individui sottoposti a perizie e consulenze tecniche, dove tuttavia tale comportamento si colloca in stretto rapporto con altre patologie. Nell’analisi della presenza della simulazione in ambito forense, la prima difficoltà incontrata deriva dal fatto che non risulta possibile dedurre risultati validi ed univoci, in quanto la maggior parte delle ricerche non riguarda il contesto italiano e in ogni caso, le ricerche svolte non hanno avuto gli stessi parametri d’indagine e spesso presentano alla base differenze normative e di prassi che non permettono il delinearsi di una linea omogenea tra loro. Alcune stime della presenza della simulazione nelle valutazioni peritali, infatti, riportano percentuali incluse tra il 13% e il 21% (Rogers, 2008; Pezzuolo & Ciappi, 2014), ma sono tuttavia dati da considerare con le dovute limitazioni già espresse. 

In passato l’attribuzione di simulazione di malattia è stata fatta nei riguardi dei pazienti i cui sintomi non corrispondevano a categorie nosologiche, in altre parole quando i sintomi di un individuo non delineavano nessuna malattia conosciuta; tuttavia ciò che oggi viene considerato patologico in psicologia e in psichiatria è continua evoluzione. Ciò che però riguarda l’ambito forense, la simulazione acquista notevole importanza nel momento in cui il professionista si trova a redigere consulenze tecniche riguardanti per esempio la valutazione per l’affido, la valutazione della genitorialità, la valutazione del danno, delle conseguenze del mobbing, oltre che temi di natura penale come false denunce, fino alla valutazione dell’imputabilità.