Dr.ssa Sara Verdini

Psicologa, Consulente Tecnico e Psicomotricista Funzionale

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Separazione e divorzio della coppia genitoriale: l’affido condiviso

La normativa sull’affido, con la legge introdotta nel 2006 sull’affido condiviso (legge 54, 8 febbraio 2006), ha visto un cambiamento di direzione rispetto agli anni precedenti, proponendo l’affido esclusivo come eccezionale, a favore di un affido congiunto e condiviso tra i due genitori.

Ciò ha cercato di dare sia ad entrambi i genitori sia al minore stesso la possibilità di “vivere” metà del tempo con il familiare, ma ha provocato serie difficoltà riguardanti il collocamento stesso del minore, oltre che controversie riguardanti aspetti pratico-economici come l’assegnazione della casa coniugale nonché la regolamentazione delle visite, con il rischio di una vera e propria scissione nel bambino, che passa dall’abitazione della mamma a quella del papà in una oscillazione continua.

In tale scenario, “l’attuale normativa mette a disposizione della magistratura strumenti capaci di apportare profondi cambiamenti nella vita del minore, tanto che risulta doveroso auspicare che vengano utilizzati con cautela e ponderatezza, nella consapevolezza del rischio di creare una situazione in cui il figlio si trovi in drammatico conflitto tra le attese e le pressioni dell’uno e dell’altro genitore e il suo desiderio, peraltro legittimo, di non deludere nessuno.” (D.Pajardi, I. Marinelli in Pezzuolo, Ciappi, “Psicologia Giuridica – la teorie, le tecniche, la valutazione”. Hogrefe ed., 2014)

L’iter processuale nella separazione e divorzio

In Italia, il processo di interruzione degli effetti civili di un matrimonio si compone di due parti: la separazione e, successivamente (dopo 3 anni), il divorzio. Entrambi possono essere consensuali o giudiziali. Nella separazione consensuale le parti, supportate dagli avvocati, stabiliscono di comune accordo tutti gli aspetti inerenti la separazione (economici, collocamento dei figli, ecc..), mentre in quella giudiziale, a causa di una discordanza tra le parti, vi è la necessità di una sentenza da parte del magistrato, il quale esaminando il caso specifico e avvalendosi di esperti, disporrà modi, tempi e situazioni in cui la separazione deve aver luogo.

Il CTU nella valutazione

Per poter dare delle disposizioni sui minori, il magistrato può avvalersi di un intervento di un esperto (psicologo, psichiatra o neuropsichiatra infantile), il quale assumendo la carica di Consulente Tecnico d’Ufficio provvederà ad una valutazione sul quadro psico-emotivo e relazionale relativa al nucleo familiare oggetto di relazione, nel rispetto della persona e soprattutto del minore.

Nel frattempo, anche le due parti si possono avvalere di un Consulente Tecnico di Parte, che supervisionerà e si accerterà che la valutazione venga condotta nella tutela delle parti e soprattutto del minore o dei minori coinvolti.

La valutazione della genitorialità

La valutazione della genitorialità è un’area di ricerca multidisciplinare che intende far riferimento ai contributi della psicologia clinica e dello sviluppo, della neuropsichiatria infantile, psicologia sociale o forense, per poter meglio integrare tutti gli aspetti coinvolti, le capacità e le funzioni genitoriali.

La valutazione delle capacità genitoriali può essere richiesta ad un Consulente Tecnico d’Ufficio sulla base del quesito di un Giudice, nei casi:

  • valutazione delle condizioni di rischio e di pregiudizio per la tutela del minore;
  • valutazione per una migliore decisione sulle condizioni di affidamento e di custodia dei minori in caso di separazione dei genitori.

E’ possibile rivolgersi allo Studio di Psicologia per richiedere informazioni o una presa in carico della valutazione della capacità genitoriale in ambito giuridico nei casi descritti.

Oltre ogni ragionevole dubbio

La simulazione negli ambiti civile e penale

Nell’ormai tanto celebre quanto sfruttato in spiegazioni su fenomeni percettivi, il Triangolo di Kanitzsa (1955) si mostra in tutte le sue contraddizioni, a partire dal suo nome. Sebbene il titolo dell’opera suggerisca la presenza di un triangolo, questi non esiste nel mondo fisico: viene percepito, ma in realtà non c’è, il triangolo non è reale, è una menzogna. Anzi, è un tentativo di simulare un qualcosa che riporta all’esperienza, ma la concezione che si basa su ”esse est percipi ”, ovvero che le cose esistono solo in quanto sono percepite dall’essere umano, rimanda a conseguenze nefaste nel campo scientifico.

Il triangolo di Kanizsa, illusione ottica descritta per la prima volta dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa

Ogni cosa fa presupporre l’esistenza di un triangolo, già il nome stesso con cui l’autore ha sapientemente insinuato un pregiudizio in noi, ma a un esame poco più attento, le prime sicurezze svaniscono e il tutto si mostra come mero tentativo simulatorio. Così quindi come il “non” Triangolo di Kanitzsa, la pratica clinica (e non) porta i professionisti psicologi a prestare sempre più attenzione a fenomeni che si palesano in un modo ma che si rivelano in tutt’altro, come nel campo giuridico e forense in cui tentativi di simulazione di malattia mentale si possono riscontrare negli ambiti sia civile (medico-legali, consulenze tecniche, ecc.) sia penale (false denunce, simulazione in carcere, ecc.). 

In parallelo alla valutazione dell’imputabilità troviamo la possibilità che una malattia mentale sia simulata o che vi sia un’esagerazione di sintomi così come una dissimulazione negli individui sottoposti a perizie e consulenze tecniche, dove tuttavia tale comportamento si colloca in stretto rapporto con altre patologie. Nell’analisi della presenza della simulazione in ambito forense, la prima difficoltà incontrata deriva dal fatto che non risulta possibile dedurre risultati validi ed univoci, in quanto la maggior parte delle ricerche non riguarda il contesto italiano e in ogni caso, le ricerche svolte non hanno avuto gli stessi parametri d’indagine e spesso presentano alla base differenze normative e di prassi che non permettono il delinearsi di una linea omogenea tra loro. Alcune stime della presenza della simulazione nelle valutazioni peritali, infatti, riportano percentuali incluse tra il 13% e il 21% (Rogers, 2008; Pezzuolo & Ciappi, 2014), ma sono tuttavia dati da considerare con le dovute limitazioni già espresse. 

In passato l’attribuzione di simulazione di malattia è stata fatta nei riguardi dei pazienti i cui sintomi non corrispondevano a categorie nosologiche, in altre parole quando i sintomi di un individuo non delineavano nessuna malattia conosciuta; tuttavia ciò che oggi viene considerato patologico in psicologia e in psichiatria è continua evoluzione. Ciò che però riguarda l’ambito forense, la simulazione acquista notevole importanza nel momento in cui il professionista si trova a redigere consulenze tecniche riguardanti per esempio la valutazione per l’affido, la valutazione della genitorialità, la valutazione del danno, delle conseguenze del mobbing, oltre che temi di natura penale come false denunce, fino alla valutazione dell’imputabilità. 

Dr.ssa Sara Verdini, Psicologa e Psicomotricista Funzionale a Firenze

Via del Palazzo bruciato, 7 B - Firenze

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